LE CONSEGUENZE DELLE ASSUNZIONI SENZA CONCORSO

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14/07/2022

La tematica della nullità della assunzione senza concorso alle dipendenze di pubblica amministrazione è foriera di problematiche, sia dal punto di vista civile che da quello amministrativo.

Dal punto di vista civile si pone il problema della nullità del rapporto e dell’inferenza sulla retribuzione, risolto a favore del dipendente dall’art. 2126 del c.c. secondo il quale, a meno che la nullità o l’annullamento non riguardi l’oggetto o dalla causa, il dipendente ha sempre diritto alla retribuzione.

Per quel che riguarda il lato amministrativo, si pone il problema della responsabilità risarcitoria per la stipula di un contratto nullo.

Ma andiamo con ordine.

La costituzione (art. 97), con una norma che potrebbe definirsi controlimite, afferma che alle pubbliche assunzioni si accede mediante concorso, tranne i casi previsti dalla legge.

La sanzione per la mancata osservanza del precetto costituzionale è data dal TUPI (dlgs 165 del 2001) secondo il cui art. 33, comma 2 (in tema di eccedenze e mobilità collettiva) prevede che

Le amministrazioni pubbliche che non adempiono alla ricognizione annuale di cui al comma 1 non possono effettuare assunzioni o instaurare rapporti di lavoro con qualunque tipologia di contratto pena la nullità degli atti posti in essere.

In tema di mobilità, secondo l’art. 34 bis

Le assunzioni effettuate in violazione del presente articolo sono nulle di diritto. Restano ferme le disposizioni previste dall’articolo 39 della legge 27 dicembre 1997, n. 449, e successive modificazioni.

Fin dagli anni ’90 del secolo scorso la giurisprudenza della Corte costituzionale ha sempre sottolineato la centralità del pubblico concorso per l’accesso a pubbliche amministrazioni.

Tra le tante Corte Costituzionale nr. 37 del 2015 in tema di conferimento di incarichi dirigenziali ex lege all’interno dell’Agenzia delle Entrate.

Secondo il giudice delle leggi

Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, nessun dubbio può nutrirsi in ordine al fatto che il conferimento di incarichi dirigenziali nell’ambito di un’amministrazione pubblica debba avvenire previo esperimento di un pubblico concorso, e che il concorso sia necessario anche nei casi di nuovo inquadramento di dipendenti già in servizio. Anche il passaggio ad una fascia funzionale superiore comporta «l’accesso ad un nuovo posto di lavoro corrispondente a funzioni più elevate ed è soggetto, pertanto, quale figura di reclutamento, alla regola del pubblico concorso» (sentenza n. 194 del 2002; ex plurimis, inoltre, sentenze n. 217 del 2012, n. 7 del 2011, n. 150 del 2010, n. 293 del 2009).

Anche il giudice di legittimità, con orientamento costante, afferma la necessità di espletamento di procedure concorsuali

Cassazione Civile Sent. Sez. L Num. 21528 Anno 2019

«nell'impiego pubblico contrattualizzato, poiché alla stipula del contratto di lavoro si può pervenire solo a seguito del corretto espletamento delle procedure concorsuali previste dall'art. 35, comma 1, lett. a) del d.lgs. n. 165/2001 o, per le qualifiche meno elevate, nel rispetto delle modalità di avviamento di cui al combinato disposto del richiamato art. 35, comma 1, lett. b) e degli artt. 23 e seguenti del d.p.r. n. 487/1994, la mancanza o l'illegittimità delle richiamate procedure si traduce in un vizio genetico del contratto, affetto, pertanto, da nullità, che l'amministrazione, in quanto tenuta a conformare il proprio comportamento al rispetto delle norme inderogabili di legge, può fare unilateralmente valere, perché anche nei rapporti di diritto privato il contraente può rifiutare l'esecuzione del contratto nei casi in cui il vizio renda il negozio assolutamente improduttivo di effetti giuridici. Pertanto il legittimo annullamento in autotutela del concorso interno sulla cui base era stato poi stipulato il contratto di lavoro, consente alla P.A. di considerare caducato il rapporto di lavoro e di non darvi ulteriore esecuzione».

Anche in un ambito non strettamente di pubblico impiego, come nella regolamentazione del rapporto di lavoro alle dipendenze di società partecipate pubbliche, il relativo testo unico prevede la necessità di procedure selettive, art. 19, comma 2, secondo cui

Le società a controllo pubblico stabiliscono, con propri provvedimenti, criteri e modalità per il reclutamento del personale nel rispetto dei principi, anche di derivazione europea, di trasparenza, pubblicità e imparzialità e dei principi di cui all'articolo 35, comma 3, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165. In caso di mancata adozione dei suddetti provvedimenti, trova diretta applicazione il suddetto articolo 35, comma 3, del decreto legislativo n. 165 del 2001.

Può dirsi acquisito, quindi, che l’eccezione alla regola del pubblico concorso trova limitato spazio nel nostro ordinamento in quanto:

o prevista dalla stessa Costituzione; si pensi all’art. 1063 che consente di ricoprire l’incarico di giudice di Cassazione per meriti insigni, professori ordinari di università in materie giuridiche e avvocati che abbiano quindici anni d'esercizio e siano iscritti negli albi speciali per le giurisdizioni superiori;

o limitata a particolari ed eccezioni ipotesi (si pensi agli incarichi di Segretario generale di ministeri, gli incarichi di direzione di strutture articolate al loro interno in uffici dirigenziali generali e quelli di livello equivalente di cui all’art. 19 del dlgs nr. 165 del 2001).

Come accennato all’inizio di questo breve contributo, la nullità o l’annullamento del contratto non incide sul diritto del dipendente a ricevere la prestazione pattuita o prevista dal contratto di categoria.

Si tratta, infatti, di una necessità derivante dalla impossibilità pratica di una restitutio in integrum in forma specifica. Se il contratto è nullo, ma la prestazione è stata effettuata, allora se da un lato non sarà possibile restituire al soggetto che ha lavorato le energie lavorative profuse, dall’altro questi non sarà tenuto alla restituzione di quanto percepito.

 

LA EVENTUALE RESPONSABILITA’ ERARIALE

Si pone a questo punto il problema della responsabilità erariale di coloro che hanno contribuito a costituire un rapporto di lavoro poi dichiarato nullo o annullato.

La questione ha una sua rilevanza pratica poiché, a causa del principio della compensatio lucri cum damno, dal punto di vista sostanziale si potrebbe obiettare che un rapporto invalido ha comunque arricchito l’amministrazione.

Ebbene, con costante giurisprudenza le Sezioni regionali della Corte dei conti hanno affermato che, seppur sussistente, la compensatio non può mai giungere al 100% delle retribuzioni erogate.

Si pensi, ad esempio, alle assunzioni effettuate in violazione di espressi divieti di legge e sanzionate da nullità (come per i comuni in dissesto). Se si ammettesse una compensazione totale si vanificherebbe lo scopo delle norme che vietano le assunzioni e che sono poste a presidio delle finanze pubbliche.

Sul punto illuminante appare la sentenza nr. 6 del 2013 della Sezione Piemonte in merito al comune di Alessandria

Tutto ciò comporta che l’analisi degli eventuali vantaggi comunque conseguiti, richiesta dall’art. 1, co. 1 bis, L. 20/94 e invocata dalle difese, non può essere ridotta ad un’automatica compensatio lucri cum damno, ma deve tener conto delle finalità della norma imperativa violata e dell’interesse pubblico primario da essa perseguito. Per quanto sopra richiamato in merito alla ratio della normativa sul Patto di stabilità, non è revocabile in dubbio che la violazione delle limitazioni della spesa che incidono sulla finanza dell’ente locale, derivante dall’approvazione di un rendiconto inveritiero, abbia procurato l’interruzione del circuito virtuoso in cui sono coinvolti tutti i soggetti istituzionali tenuti a conseguire l’obiettivo dettato da regole derivanti dall’appartenenza all’Unione Europea.

Ne discende l’insussistenza di un mero vantaggio compensativo, algebrico, per l'amministrazione di appartenenza, o per altra amministrazione, o per la comunità amministrata in relazione al comportamento dei convenuti nel presente giudizio, essendo lo stesso Legislatore ad accordare la preminenza all’interesse pubblico alla salvaguardia degli equilibri di bilancio e di rispetto dei vincoli di finanza pubblica, imposti all’intera collettività nazionale (e quindi anche agli Enti territoriali) dall’adesione dell’Italia all’Unione Europea.

La condotta posta in essere dai convenuti ha comportato un sovvertimento delle scelte di priorità del legislatore nazionale, da quest’ultimo operate in attuazione di obblighi derivanti dall’appartenenza dello Stato italiano all’Unione Europea, che si risolve in un onere economico destinato a ripercuotersi sull’intera collettività. L’utilizzazione delle risorse finanziarie del Comune di Alessandria, che il sistema sanzionatorio previsto dal Patto di stabilità non consentiva di spendere nell’anno 2011, ha comportato, per tale annualità, il venir meno della corrispondente quota di risparmi attesi a livello nazionale dal complessivo Patto di stabilità e crescita.

Il danno provocato al Comune con l’approvazione di un rendiconto inveritiero incide direttamente sull’interesse, collettivo e di rilevanza costituzionale, della salvaguardia della finanza pubblica “allargata” che, nella valutazione comparativa degli interessi richiesta per l’individuazione di possibili vantaggi ai sensi dell’art. 1, co. 1 bis, L. 20/94, prevale rispetto all’effettuazione di spese - seppure per servizi resi ai cittadini - vietate dalla legge. Peraltro, non è neppure ravvisabile una perfetta coincidenza tra amministrazione danneggiata e amministrazione avvantaggiata, direttamente o indirettamente, tramite la comunità amministrata, posto che le condotte in esame hanno recato nocumento al generale equilibrio della finanza pubblica, nel cui complesso s’inserisce l’ente locale in cui si sono svolti i fatti.

Ne consegue la possibilità di tener conto dei vantaggi conseguiti dall’Amministrazione in termini di acquisizione di beni o servizi (con riguardo alla corrispondente spesa contra legem in parte corrente) o prestazioni lavorative (con riguardo ai contratti di lavoro stipulati in violazione del divieto) entro confini molto ristretti. In particolare, per quanto sopra esposto, quello che apparentemente ha costituito un accrescimento patrimoniale della comunità locale, nel complesso degli elementi costitutivi della Repubblica di cui all’art. 114 della Costituzione, deve essere valutato nel costante confronto con quanto è richiesto alla comunità nazionale, in termini di minori spese, in conseguenza dell’appartenenza dell’Italia all’Unione Europea.

Per gli stessi motivi, l’individuazione dei vantaggi comunque conseguiti neppure può ridursi, in questa fattispecie, a una cernita tra spese obbligatorie e facoltative (par. Sez. Controllo Lombardia n. 601/2011 cit.), e non può che essere rimessa a una valutazione equitativa da parte di questo Collegio (infra, sub 6), come ammesso, anche di recente, dalla giurisprudenza contabile (I^ Sez. App., sent. n. 25/2010).

In definitiva, le assunzioni senza concorso dal punto di vista civile comportano la nullità del rapporto; sempre da questo angolo prospettico, la nullità non elimina l’obbligo di retribuzione; residua, viceversa, dal punto di vista amministrativo, una utilità per l’ente da valutare caso per caso secondo una percentuale media che si potrebbe ritenere del 30%; il restante costituisce danno risarcibile da addebitare a coloro che con comportamenti caratterizzati da grave colpa omissiva o dolo hanno reso possibile le assunzioni.

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